La crisi dell’intermediazione (e le infinite opportunità che ne derivano)

Una specie di statement, una specie di profezia, una specie di preparazione ad una nuova visione

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Siamo ancora, convenzionalmente, nella cosiddetta “Età contemporanea” che inizia alla fine del 1700 intorno ad accadimenti come la Rivoluzione Industriale, la Rivoluzione Francese, le guerre d’indipendenza americane e via dicendo. La precedente, l’Età Moderna, iniziava con la fine del medioevo.

A me appare chiarissimo che questa età sia finita nei pressi del 2010. Si può notare come le età precedenti non è che finiscano in un esatto momento ma in un periodo di almeno qualche decennio. La fine di questo evo è caratterizzata da eventi e cambiamenti importanti iniziati da metà anni ’90 fino al 2010: la caduta del muro, la guerra dei Balcani, l’ascesa culturale dei paesi arabi del petrolio, Maastricht, l’11 settembre come “inizio della fine“; poi il passaggio, lo scavallamento con la diffusione di internet, l’Euro e l’UE, le “primavere arabe” e il punto finale, il triplice fischio all’età contemporanea ovvero la crisi dei subprime del 2008-2010.

La caratteristica interessante è che questo periodo, questi 15-20 anni di fine evo, corrispondono anche al periodo migliore, il fuoco d’artificio finale, gli anni dell’edonismo stabilizzato, delle libertà acquisite, del benessere e dell’apparente vittoria delle battaglie dei decenni e secoli precedenti. Il periodo tra il 1992 e il 2010 è stato, nell’espressione culturale intesa in senso ampio, un momento splendido da vivere qui in occidente. I problemi che percepivamo in quel momento, visti dal 2025, erano piccole cose, sciocchezze, lamentele per il caviale di scarsa qualità. E anche questo aspetto caratterizza i grandi cambiamenti: lo status quo diventa annoiato, stanco e non ha più nulla per cui combattere.

IL TRIGGER DEL PASSAGGIO

L’analisi culturale è il miglior modo per capire la salute di una civiltà e la nostra oggi è una civiltà neutralizzata, addormentata, estremamente conformista di un conformismo beota, vuoto, l’appiattimento sul nulla. E sono sempre più convinto che la crisi culturale nasca dall’assenza di guide, di “ciceroni”, di quelli che gli anglosassoni chiamano “gate keeper”In sostanza, la crisi dell’intermediazione.

Qui sta il grande “trigger” del passaggio dall’età contemporanea a una nuova epoca: fino agli anni ’10 del duemila l’informazione era veicolata tramite i media, che avevano necessità di essere credibili, ognuno per il proprio segmento di pubblico. I media pre-internet agivano in modo “broadcast“: una sola voce in un determinato spazio-tempo che parla a molti contemporaneamente in una sola direzione, cioè dal media al pubblico, con quest’ultimo che può solo ricevere in modo massificato, a grandi gruppi. Questo concetto è morto e l’informazione ormai da una quindicina d’anni è bidirezionale: chi esprime, racconta, informa deve dar conto a chi ascolta perché il pubblico, prima massa informe, ora chiede direttamente e si esprime a sua volta. Di più, quelle che un tempo erano considerate “nicchie” e quindi non considerate dalla grande comunicazione di massa (perché i media erano pochi e le nicchie tantissime) oggi sono raggiungibili una ad una e sono pure ben monetizzabili.

LA DISTRUZIONE DELLA CREDIBILITA’

All’inizio andava bene perché i grandi media continuavano a lavorare per essere credibili, che era la loro unica arma, e gli utenti quindi continuavano, nella maggior parte dei casi, a fidarsi più di loro che dei nuovi media indipendenti, spesso impresentabili e buffi, sempre poco attrezzati rispetto ai colossi dunque poco attraenti per la massa. A un certo punto però il mainstream ha iniziato ad usare le tecniche dei piccoli intravedendo opportunità di monetizzazione semplici (più click = più soldi, con una logica ridicolmente semplicistica ed evidentemente sbagliata). E così è iniziato il percorso di inversione: i grandi hanno dilapidato la credibilità riducendosi al clickbait e al sensazionalismo mentre diventavano sempre più economicamente dipendenti dai grandi capitali, che li hanno rilevati uno ad uno e trasformati in organi di propagandagli indipendenti hanno rincorso la ricerca di credibilità colpo per colpo, articolo per articolo, contenuto per contenuto e nel tempo hanno conquistato la fiducia delle persone che trovano in un essere umano che ci mette nome e faccia e chiede di partecipare al pubblico per continuare a sopravvivere economicamente un entità più degna della propria stima.

Ad oggi la credibilità dei media tradizionali ma anche dei grandi player della cultura (produzioni cinematografiche e relative distribuzioni, etichette discografiche e radio, televisioni, case editrici) è in rosso, percepita ormai da quasi tutti come sola propaganda e veicolo di potere e poteri. Di contro sono cresciute realtà dal basso (o dal lato…) che hanno un’influenza tale da essere ago della bilancia persino nelle elezioni americane. Sono davvero in pochi quelli che ancora considerano il mondo della content creation come “la Ferragni che si trucca” e che invece seguono creator indipendenti che propongono contenuti puntuali e interessanti, anche se spesso naif (il che li rende ancora più desiderabili).

I TRE ELEMENTI DELLA COMUNICAZIONE + UNO

Nella comunicazione, scolasticamente, ci sono 3 elementi base: mittente, messaggio e destinatario. Ma tra il mittente e il destinatario c’è un’intermediario che trasmette il messaggio, lo porta dall’uno all’altro. Prendiamo ad esempio il telefono: io (mittente) devo dire alla pizzeria (destinatario) che stasera saremo in 3 e arriveremo alle 20 (messaggio). Per farlo utilizzo il telefono, un veicolo, un intermediario che trasferisce il messaggio tra me e la pizzeria. Uno strumento che fa un lavoro sporco e nascosto di decriptazione, trasmissione dati, collegamento tramite celle telefoniche e tutto quel che comporta a livello tecnico l’attivazione di una comunicazione telefonica.

I media fanno proprio questo, veicolano un messaggio tra mittente e destinatario ma il loro ruolo non è tecnico, è concettuale: io utente scelgo una manciata di media che rappresentano determinate caratteristiche, idee, visioni e gli consento di selezionare, scremare, spesso decodificare e sottopormi le informazioni migliori per me tra le tantissime informazioni in giro. Per fare questo, per affidarmi così, l’intermediario deve essere percepito credibile, affidabile, onesto. Devo credere che non mi menta, che non alteri la realtà, che non mi manipoli (anche se poi lo ha sempre fatto, ma il modo molto ma molto più sottile e subdolo).

Cadendo questa impalcatura siamo nel mezzo dell’oceano: le informazioni sono moltiplicate all’infinito, il che è anche buono, ma non abbiamo idea di come intercettare quelle più adatte. Andiamo “a dentoni” (per citare un grande guru foggiano…) e siamo quindi quasi costretti ad auto-bombardarci di contenuti in ogni momento sperando di essere investiti da uno buono ogni cento e seguirlo individualmente. Potenzialmente possiamo comporci il nostro “palinsesto“, il nostro quotidiano perfetto ma non abbiamo il tempo e il modo di sondare l’intera produzione di articoli, podcast, video, post, tweet, infografiche, longform e tutto il producibile su scala mondiale per selezionare solo quelli per noi validi. È impossibile. A peggiorare le cose ci si sono messi da qualche anno anche gli “algoritmi” delle piattaforme social (che sono quelle in cui questi contenuti vengono ospitati) per cui non basta neanche più seguire un determinato canale per vederne i contenuti, devi comunque andarteli a cercare uno ad uno.

UN MOMENTO ESALTANTE

E qui è dove vi aspettate che mi lamenti come Nonno Simpson contro la nuvola. Invece vi spiazzo: è un momento esaltante.

Di fronte a noi si para l’opportunità di costruire l’era post-contemporanea, di prendere parte attiva in questo cambiamento. È un privilegio toccato a poche generazioni in tutta la storia dell’umanità, quelle che hanno avuto la fortuna di vivere durante i grandi passaggi. Certo, se la vediamo pigramente era meglio stare palle all’aria negli anni ’70 col posto fisso, grande potere d’acquisto, villeggiatura e tutto il resto. Però siccome quello scenario è esattamente quello che raccontava Paolo Villaggio in Fantozzi, io anche all’epoca non l’avrei accettato quel modo di vivere e come me molti altri. E quindi per me vivere in questo momento è un’opportunità davvero importante e preziosa.

La fine dell’età contemporanea è anche la fine dell’età della tecnica e del determinismo e il ritorno a un umanesimo evoluto che considera al centro dell’universo non solo l’individuo ma anche la sua natura spirituale. L’evoluzione tecnica ha portato allo strumento delle intelligenze artificiali generative che, per farle funzionare, richiedono dimestichezza e comprensione dell’intelletto umano perché è imitando questo che funzionano. Non si è più esclusi dall’utilizzo della tecnologia evoluta se non si ha capacità tecnica, conoscenza di linguaggi di programmazione, iperspecializzazione settoriale. Si ha accesso a tutto se si sa usare la logica, comprendere la struttura del ragionamento.

“UNA MODESTA PROPOSTA”

La mia idea è che possiamo guadagnarci potere creando nuove forme di intermediazione tra mittente e destinatario, riportando il messaggio al centro di tutto, restituendo fiducia alle persone. Abbandonare definitivamente quell’idea classista per cui “il pubblico non capisce” e quindi i messaggi si sono via via sempre più semplificati e sono diventati mere comunicazioni pubblicitarie svelando la propaganda ma essendo ben consci che il pubblico ha invece parlato e decretato: se il messaggio è scadente alla fine anche i colossi cadono. I numeri parlano chiaro, dalle vendite/abbonamenti/visite ai grandi media fino ai flop di film e prodotti woke, la decadenza della tv e delle radio broadcast appannaggio di podcast e video-podcast. La nascita e la proliferazione anche economica di figure prese in giro qualche anno fa perché “fanno le dirette dei videogiochi” e oggi smuovono numeri e capitali che anche TV nazionali si sognano proponendo format e contenuti nuovi e interessanti.

È un buon momento per essere vivi, è un pessimo momento per stare fermi, è un momento terribile per rassegnarsi ad accettare e subire i cambiamenti senza proporne. Se vi piace il concetto, vi ci ritrovate o vi incuriosisce seguitemi qui o altrove, sentiamoci, confrontiamoci, lanciamoci in qualche progetto insieme, datemi la vostra visione. Ci ho fatto una start-up su questa visione, direi che ci credo più di un po’.

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